Mario Lavezzi

Ricordando Alessandro.

Ho apprezzato molto la lettera di Franco Mussida su Alessandro Bono (“Corriere”, 18 maggio) e, dopo aver letto vari commenti, mi sento in dovere, anche in nome dell’amicizia fraterna che mi legava ad Alessandro, di intervenire in proposito. Ho conosciuto Alessandro appena quindicenne, era un ragazzo entusiasta di cimentarsi con la musica, nonostante avesse già iniziato la sua terribile esperienza con l’eroina che lo avrebbe portato a questa tristissima fine. Seguiva e cercava di emulare quei miti del così detto “rock maledetto” che sicuramente hanno contribuito a fargli credere, come a tanti ragazzi come lui, che la droga potesse aiutarlo a vincere le sue insicurezze ad essere più creativo, più “figo”. La sua grande sensibilità musicale mi convinse che lavorando insieme saremmo riusciti ad ottenere ottimi risultati, speravo tra l’altro, attraverso l’impegno e incentivando la sua passione, di poterlo aiutare a smettere di drogarsi. Coinvolsi in questa impresa Mogol e la compagnia discografica Cbs che come me credettero molto in lui. Cercammo anche insieme alla sua famiglia di risolvere innanzi tutto il problema della droga, tentammo di farlo entrare in una comunità, ma oltre a dover vincere le sue resistenze (Alessandro si illudeva di poterne uscire da solo) trovammo infine difficoltà nel reperire una comunità disposta ad accoglierlo. Parlavamo spesso del suo problema e lui cercava di persuadere me e se stesso che utilizzava dosi minime di eroina. Durante la sua breve carriera artistica, fatta di due album molto intensi e sofferti che rappresentano il suo travaglio esistenziale, ha avuto molti incontri artistici, tra i quali Gino Paoli, Francesco De Gregori, Andrea Mingardi, che apprezzando il suo talento hanno voluto che Alessandro fosse presente in alcune delle loro tournée. E fu anche attraverso l’aiuto professionale e umano di tutti questi amici che finalmente Alessandro si convinse che doveva smettere. Purtroppo però era troppo tardi, poco tempo dopo scoprì di essere sieropositivo e cominciò il suo calvario. Ciò che mi rattrista e sconforta maggiormente è di non essere riusciti a vincere la battaglia con l’eroina in tempo. Spero almeno che la morte di Alessandro e di tutti coloro che sono deceduti in questo drammatico modo non sia inutile, ma possa essere da esempio a tutti quei ragazzi che non hanno ancora capito che la droga uccide, e che non sarà mai sufficiente ribadire il concetto che per combattere l’Aids l’unico modo oggi è ancora non passarsi siringhe usate e usare il preservativo.

(Mario Lavezzi, Corriere della Sera)

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